venerdì 11 maggio 2012

le anime noir di palermo - intervista con gian mauro costa

da 'La Regione' del 11.5.2012

L’intrigo si fa mediterraneo nella rassegna Tutti i colori del giallo , giunta con successo alla sua ottava edizione, svoltasi anche quest’anno nelle sale del cinema Lux a Massagno. Dalle coste campane di Napoli sino a Barcellona, passando per Palermo, per sfiorare nelle diverse sue sfumature il Sud, con i suoi colori, i suoi sapori, le sue storie da raccontare.

La serata di ieri è stata dedicata alla Sicilia, terra del giornalista e scrittore Gian Mauro Costa. Abbiamo avuto il privilegio di farci accompagnare dall’autore palermitano nella sua affascinante, e dalle molteplici sfaccettature, città, prima dell’incontro con il pubblico che lo ha visto protagonista insieme a un grande nome della letteratura noir siciliana, Santo Piazzese (già presente a Massagno nel 2005 e nel 2009).

Un viaggio nella letteratura e non solo, per scoprire che cosa si nasconde in una città e nelle anime di chi la vive. Gian Mauro Costa, autore di Yesterday (Sellerio, 2001) e Il libro di legno (Sellerio, 2010) ci ha innanzitutto spiegato quanto conti, per lui, la sua città:
« Palermo è la vera protagonista di ciò che scrivo. Non riuscirei a parlare di una città che non sia la mia, la conosco molto bene, ma continua comunque a riservarmi angoli da scoprire. Credo che la letteratura contemporanea, in particolare quella noir, sia un tipo di narrativa che permette di conoscere meglio le città. Lo scrittore deve raccontare i luoghi, le atmosfere, descriverli bene per dare spessore e credibilità ai personaggi. Nell’800 era la letteratura d’avventura che permetteva questa esplorazione meticolosa, oggi è quella noir ».

Una città è fatta anche di antri oscuri, di bassifondi, come può essere l’uomo. Esiste un paragone tra il viaggio nella città e il viaggio all’interno di sé?
«Sì al movimento spaziale corrisponde un movimento interiore, alla topografia corrisponde anche una descrizione dei luoghi interiori e dei luoghi dell’anima. Palermo è ricca di queste zone d’ombra sordide, e i personaggi rispecchiano questa situazione. Non ho mai fatto scelte manichee, tra il bene e il male, e preferisco che anche i personaggi si muovano in questi contorni grigi. Palermo è una città di grandissime sfumature, e al contempo della coesistenza di bene e male portati al massimo. Non ho la pretesa nei miei romanzi di affrontare le grandi persone, i grandi malesseri di Palermo. Preferisco arrivare alla percezione di queste problematiche, che fanno da sfondo, attraverso piccole storie e soprattutto piccoli personaggi».

In questa scoperta della città e del personaggio, si può azzardare un altro parallelismo, tra psicoanalisi e indagine investigativa gialla?
«Ho pensato anche io che fosse così. Nel mio primo romanzo, Yesterday, questo collegamento, questa familiarità tra indagine gialla e investigazione dell’anima è molto forte e presente. Ma la psicoanalisi si rivelerà un’arma spuntata per il personaggio che vi ricorre, al contrario dell’indagine criminale. Ed è forse quello che per certi aspetti penso oggi anche io di questa terapia che non fornisce soluzioni, come un giallo, ma accomodamenti».

Perché scrivere romanzi gialli?
«Ho iniziato ad amare molto la lettura gialla contemporanea proprio perché mi permette di viaggiare insieme ai personaggi. Mi piace il giallo meditativo, un po’ malinconico. Mi piacciono i blues delle città. Nonostante tutto ciò io non mi sento un giallista, non cerco la trama perfetta, gli incastri. A me interessa di più l’aspetto antropologico proprio del noir. Quell’andare dietro a cose che sembrano portare fuori dalla normalità».

È difficile parlare in un romanzo del crimine organizzato?
«Sì, molto. Il confronto con la mafia a Palermo è inevitabile, scontato, ma allo stesso tempo difficile. Penso che sia un po’ presuntuoso immaginare di poter comprendere in un libro un fenomeno così complesso come la mafia. C’è riuscito solo Sciascia, in qualche modo. Credo che, per fare comprendere meglio il fenomeno, invece di parlare di grandi avvenimenti, di stragi, sia meglio raccontare piccole storie, che sono indicative. La cosa più forte della mafia è il suo condizionamento sulla vita quotidiana, sulla vita spicciola. Quindi è da lì che secondo me emergono le riflessioni su questo fenomeno».
I piccoli personaggi di Gian Mauro Costa torneranno tra due mesi con l’uscita del suo nuovo romanzo, Festa di piazza , per farci esplorare un nuovo aspetto di questa grande città.

martedì 1 maggio 2012

in città con il naso all'insù




da 'Azione' del 30.4.2012

Ricerca artistica, storie da raccontare e provocazioni trovano spazio sui muri di edifici, nella legalità. Un’iniziativa di Lugano per valorizzare la creatività giovanile.

I muri delle nostre città si colorano, si riempiono di scritte e graffiti. Non si tratta più di giudicare se sia un’arte vandalica o meno. Nemmeno di ostinarsi a criticare questi ragazzi che imbrattano muri. Si tratta semplicemente, oggi, di camminare con lo sguardo rivolto verso l’alto, per scoprire con sorpresa che qualcuno ha pensato di illustrare pareti cittadine dimenticate da tempo. In un modo diverso. Graffiti, street art, writer, sono parole ormai entrate a far parte del nostro vocabolario, e da tempo ormai i quesiti aperti sono molteplici. È lecito lasciare che questi giovani autoproclamatisi artisti pitturino a loro piacimento i muri della città? Va loro concesso uno spazio? E non è che poi, questi ragazzi perderanno l’ispirazione perché ciò che interessa loro è l’illegalità? Del resto, lo stesso Banski, l’anonimo celebre writer originario di Bristol che ha elevato la Street Art ad Arte, ha fatto dell’illegalità uno dei punti cardine del suo successo.

Le domande non servono più: a poco a poco la città risponde da sola. Lugano ha deciso infatti di concedere diversi spazi a giovani artisti che si dedicano a graffiti e stencil (maschere normografiche), promuovendo questo tipo di arte – che come tutte le nuove correnti artistiche ha bisogno di correre sui binari secondari appartati prima di poter essere definita tale – e incoraggiando i giovani alla creazione. Il progetto si chiama Arte Urbana Lugano.

Un esempio concreto delle attività promosse dal progetto è ammirabile oggi in via Lavizzari 5, a Lugano. Si tratta dell’opera muraria Pietro non torna indietro di Agostino Iacurci, giovane venticinquenne pugliese che unisce sapientemente l’arte illustrativa ai murali, aprendo porte a nuovi mondi variopinti su muri grigi. Il murale è stato realizzato in una settimana (dal 2 all’8 aprile 2012) durante la quale era possibile osservare in diretta il lavoro dell’artista. Numerosi i passanti che invece di camminare guardandosi la punta delle scarpe, hanno alzato lo sguardo e, procedendo col naso all’insù, si sono chiesti che pubblicità fosse mai quell’enorme uomo in bicicletta. Un rappresentante di Arte Urbana Lugano rispondeva ai curiosi che non si trattava di un’iniziativa commerciale, bensì d’arte. E che Agostino, il ragazzo che si arrampicava sulle impalcature, aveva già eseguito interventi urbani a Roma, Torino e nel deserto del Sahara, ed era stato chiamato dalla Città di Lugano, per colorare un muro privato. Tutti i passanti ripartivano soddisfatti.
Ho approfittato della pausa pranzo dell’artista, un trancio di pizza che lo ha fatto scendere dall’impalcatura, per chiedergli come avesse cominciato a fare quel lavoro.

«Facevo graffiti quando stavo a Foggia, dove il limite tra legale e illegale è molto sottile. Non si trattava di farli in clandestinità, li facevamo e basta. Poi ho smesso, sono andato a Roma a studiare arte, e ho iniziato a fare tele, incisioni, illustrazioni. Ma sono poi tornato al muro, con tutto quello che di nuovo sapevo fare».

Però lo spirito dei graffiti di Foggia è diverso da quello degli interventi urbani promossi dalle istituzioni, e Agostino mi racconta che «i graffiti sono divertimento puro, riferito unicamente a me e ai miei amici. Lo spirito era molto più bello. Adesso si tratta di un nuovo equilibrio tra professione e passione, che per fortuna posso unire. Nei graffiti c’erano solo le mie aspettative, non mi importava nulla della città. Ora ho un altro atteggiamento mentre faccio questo lavoro. Cerco di capire come reagisce la città, come stanno i miei lavori dentro lo spazio urbano. Anche perché ora non posso più ignorare quello che succede attorno a me. Diciamo che è l’esperienza è diventata più seria, anche se io cerco di sdrammatizzare coi soggetti». Sul muro di via Lavizzari sta comparendo un uomo in bicicletta sotto una scia rossa a S. Sorge spontaneo chiedergli da cosa nascano i suoi soggetti:«Dal mio immaginario. Il mio stile è più o meno illustrativo, ma cerco di portarlo fuori dalle illustrazioni, svincolarlo dal racconto. L’illustrazione si fa così incipit di un racconto che poi il cittadino è chiamato a inventare. Cerco soggetti semplici, intelligibili, che contemplino la figura umana: alla fine è questo che favorisce la comunicazione. Li metto in un vuoto, nel nulla, gli faccio fare un’azione banale a tutti riconoscibile, un gioco in equilibrio tra il surreale e il racconto mancato. Anche qui – in via Lavizzari - c’è un incipit: la luce che diventa il raggio rosso e acceca l’uomo in bicicletta. Lui produce la luce con la dinamo, illumina il cammino, ma il suo cammino è cieco. E poi, ognuno ci può vedere quello che vuole. Cerco anche un nesso con il luogo, che c’è sempre, ma quella è la mia, di storia». E più la storia è personale più la curiosità aumenta, quale sarà il nesso tra il ciclista accecato raffigurato sul muro e la città di Lugano però, Agostino non lo vuole rivelare, perché altrimenti «sembrerebbe una chiave di lettura obbligatoria all’opera». Ci svela però che in Pietro non torna indietro c’è Pietro Gori, l’anarchia, il suo punto di vista sul pensiero utopico, e la proprietà privata (http://www.agostinoiacurci.com/).

La facciata di via Lavizzari non è l’unica ad essere scampata a un grigio destino urbano. C’è il tunnel di Besso, che sarà ricoperto dalle opere di giovani artisti del nostro territorio, e prossimamente anche il muro sul fiume di fronte allo Studio Foce. Anche queste iniziative sono promosse da Arte Urbana Lugano. Valeria Donnarumma, Giacomo Grandini e Natalie Soldini confermano la mia idea a proposito della tendenza attuale: «A Lugano abbiamo grandi musei e gallerie, ma nessuno si occupa dei giovani, che spesso devono andare via per trovare spazio. Noi li facciamo lavorare. La street art è la tendenza artistica del momento, ed è giusto mettere Lugano a livello delle altre città». Mi chiedo nuovamente però, se offrendo degli spazi appositi non si snaturi il principio stesso, provocatorio, della street art. Per i tre responsabili di Arte Urbana Lugano questo «dipende. Certo, c’è chi lavora in modo provocatorio e stuzzica situazioni che noi non possiamo alimentare come Città. Ma è giusto comunque che l’artista sia libero di provocare, è anche il suo scopo. La maggior parte dei movimenti d’arte in fondo nasce in maniera sovversiva e si istituzionalizza in seguito, e non per questo perde di valore. Si impara a nascondere la provocazione tra le righe, quando si è meno liberi. Rimane un commento sociale, senza bisogno di ricorrere necessariamente all’illegalità». E chissà se in questa città ci sono writer che chiedono il permesso, per pitturare le pareti. «Arrivano diversi progetti. Parte dei lavori che abbiamo realizzato nascono da proposte spontanee. Noi diamo spazio, ma è importante che questo sia riempito in maniera artistica: ci deve essere qualcosa da dire. Questo significa anche spingere i ragazzi a dire attraverso l’arte qualcosa di concreto, un messaggio».

Quando l’arte si fa urbana, e la città diventa artistica, le pareti si dipingono. Ricerca artistica, storie da raccontare, messaggi da comunicare, slogan e provocazioni trovano spazio sui muri della legalità.