martedì 1 maggio 2012

in città con il naso all'insù




da 'Azione' del 30.4.2012

Ricerca artistica, storie da raccontare e provocazioni trovano spazio sui muri di edifici, nella legalità. Un’iniziativa di Lugano per valorizzare la creatività giovanile.

I muri delle nostre città si colorano, si riempiono di scritte e graffiti. Non si tratta più di giudicare se sia un’arte vandalica o meno. Nemmeno di ostinarsi a criticare questi ragazzi che imbrattano muri. Si tratta semplicemente, oggi, di camminare con lo sguardo rivolto verso l’alto, per scoprire con sorpresa che qualcuno ha pensato di illustrare pareti cittadine dimenticate da tempo. In un modo diverso. Graffiti, street art, writer, sono parole ormai entrate a far parte del nostro vocabolario, e da tempo ormai i quesiti aperti sono molteplici. È lecito lasciare che questi giovani autoproclamatisi artisti pitturino a loro piacimento i muri della città? Va loro concesso uno spazio? E non è che poi, questi ragazzi perderanno l’ispirazione perché ciò che interessa loro è l’illegalità? Del resto, lo stesso Banski, l’anonimo celebre writer originario di Bristol che ha elevato la Street Art ad Arte, ha fatto dell’illegalità uno dei punti cardine del suo successo.

Le domande non servono più: a poco a poco la città risponde da sola. Lugano ha deciso infatti di concedere diversi spazi a giovani artisti che si dedicano a graffiti e stencil (maschere normografiche), promuovendo questo tipo di arte – che come tutte le nuove correnti artistiche ha bisogno di correre sui binari secondari appartati prima di poter essere definita tale – e incoraggiando i giovani alla creazione. Il progetto si chiama Arte Urbana Lugano.

Un esempio concreto delle attività promosse dal progetto è ammirabile oggi in via Lavizzari 5, a Lugano. Si tratta dell’opera muraria Pietro non torna indietro di Agostino Iacurci, giovane venticinquenne pugliese che unisce sapientemente l’arte illustrativa ai murali, aprendo porte a nuovi mondi variopinti su muri grigi. Il murale è stato realizzato in una settimana (dal 2 all’8 aprile 2012) durante la quale era possibile osservare in diretta il lavoro dell’artista. Numerosi i passanti che invece di camminare guardandosi la punta delle scarpe, hanno alzato lo sguardo e, procedendo col naso all’insù, si sono chiesti che pubblicità fosse mai quell’enorme uomo in bicicletta. Un rappresentante di Arte Urbana Lugano rispondeva ai curiosi che non si trattava di un’iniziativa commerciale, bensì d’arte. E che Agostino, il ragazzo che si arrampicava sulle impalcature, aveva già eseguito interventi urbani a Roma, Torino e nel deserto del Sahara, ed era stato chiamato dalla Città di Lugano, per colorare un muro privato. Tutti i passanti ripartivano soddisfatti.
Ho approfittato della pausa pranzo dell’artista, un trancio di pizza che lo ha fatto scendere dall’impalcatura, per chiedergli come avesse cominciato a fare quel lavoro.

«Facevo graffiti quando stavo a Foggia, dove il limite tra legale e illegale è molto sottile. Non si trattava di farli in clandestinità, li facevamo e basta. Poi ho smesso, sono andato a Roma a studiare arte, e ho iniziato a fare tele, incisioni, illustrazioni. Ma sono poi tornato al muro, con tutto quello che di nuovo sapevo fare».

Però lo spirito dei graffiti di Foggia è diverso da quello degli interventi urbani promossi dalle istituzioni, e Agostino mi racconta che «i graffiti sono divertimento puro, riferito unicamente a me e ai miei amici. Lo spirito era molto più bello. Adesso si tratta di un nuovo equilibrio tra professione e passione, che per fortuna posso unire. Nei graffiti c’erano solo le mie aspettative, non mi importava nulla della città. Ora ho un altro atteggiamento mentre faccio questo lavoro. Cerco di capire come reagisce la città, come stanno i miei lavori dentro lo spazio urbano. Anche perché ora non posso più ignorare quello che succede attorno a me. Diciamo che è l’esperienza è diventata più seria, anche se io cerco di sdrammatizzare coi soggetti». Sul muro di via Lavizzari sta comparendo un uomo in bicicletta sotto una scia rossa a S. Sorge spontaneo chiedergli da cosa nascano i suoi soggetti:«Dal mio immaginario. Il mio stile è più o meno illustrativo, ma cerco di portarlo fuori dalle illustrazioni, svincolarlo dal racconto. L’illustrazione si fa così incipit di un racconto che poi il cittadino è chiamato a inventare. Cerco soggetti semplici, intelligibili, che contemplino la figura umana: alla fine è questo che favorisce la comunicazione. Li metto in un vuoto, nel nulla, gli faccio fare un’azione banale a tutti riconoscibile, un gioco in equilibrio tra il surreale e il racconto mancato. Anche qui – in via Lavizzari - c’è un incipit: la luce che diventa il raggio rosso e acceca l’uomo in bicicletta. Lui produce la luce con la dinamo, illumina il cammino, ma il suo cammino è cieco. E poi, ognuno ci può vedere quello che vuole. Cerco anche un nesso con il luogo, che c’è sempre, ma quella è la mia, di storia». E più la storia è personale più la curiosità aumenta, quale sarà il nesso tra il ciclista accecato raffigurato sul muro e la città di Lugano però, Agostino non lo vuole rivelare, perché altrimenti «sembrerebbe una chiave di lettura obbligatoria all’opera». Ci svela però che in Pietro non torna indietro c’è Pietro Gori, l’anarchia, il suo punto di vista sul pensiero utopico, e la proprietà privata (http://www.agostinoiacurci.com/).

La facciata di via Lavizzari non è l’unica ad essere scampata a un grigio destino urbano. C’è il tunnel di Besso, che sarà ricoperto dalle opere di giovani artisti del nostro territorio, e prossimamente anche il muro sul fiume di fronte allo Studio Foce. Anche queste iniziative sono promosse da Arte Urbana Lugano. Valeria Donnarumma, Giacomo Grandini e Natalie Soldini confermano la mia idea a proposito della tendenza attuale: «A Lugano abbiamo grandi musei e gallerie, ma nessuno si occupa dei giovani, che spesso devono andare via per trovare spazio. Noi li facciamo lavorare. La street art è la tendenza artistica del momento, ed è giusto mettere Lugano a livello delle altre città». Mi chiedo nuovamente però, se offrendo degli spazi appositi non si snaturi il principio stesso, provocatorio, della street art. Per i tre responsabili di Arte Urbana Lugano questo «dipende. Certo, c’è chi lavora in modo provocatorio e stuzzica situazioni che noi non possiamo alimentare come Città. Ma è giusto comunque che l’artista sia libero di provocare, è anche il suo scopo. La maggior parte dei movimenti d’arte in fondo nasce in maniera sovversiva e si istituzionalizza in seguito, e non per questo perde di valore. Si impara a nascondere la provocazione tra le righe, quando si è meno liberi. Rimane un commento sociale, senza bisogno di ricorrere necessariamente all’illegalità». E chissà se in questa città ci sono writer che chiedono il permesso, per pitturare le pareti. «Arrivano diversi progetti. Parte dei lavori che abbiamo realizzato nascono da proposte spontanee. Noi diamo spazio, ma è importante che questo sia riempito in maniera artistica: ci deve essere qualcosa da dire. Questo significa anche spingere i ragazzi a dire attraverso l’arte qualcosa di concreto, un messaggio».

Quando l’arte si fa urbana, e la città diventa artistica, le pareti si dipingono. Ricerca artistica, storie da raccontare, messaggi da comunicare, slogan e provocazioni trovano spazio sui muri della legalità.

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