martedì 28 febbraio 2012

A LuganoIn Scena il Teatro del presente affronta 'La Fine'

Che rapporto intercorre tra una nostra società iper-consumistica e la morte? Babilonia Teatri, la compagnia in scena lunedì scorso al Foce, ha affrontato la questione con lo spettacolo The end (Premio Ubu 2011 'Nuovo testo italiano'). Una drammaturgia dai toni forti, intensa, frasi scandite in monologhi sincopati ci buttano in faccia una realtà: siamo parte di un mondo egoista dove un'umanità performante, non può e non vuole vedere e sentir parlare di morte. Perché la morte puzza, è brutta, non è igienica. Certo, esiste, come lo dimostra il tempo che passa. Ma se l'età che avanza può essere cancellata da volti e corpi con la gomma della chirurgia estetica, lo stesso non si può dire per la morte. Anche se non la si vuol vedere, perché 'cuore non duole se occhio non vede', prima o poi busserà alla porta. Tentante allora l'idea di un boia che disbrighi le scomode faccende per noi, accorci la sofferenza, nasconda il decadimento, e ci faccia svanire soli, magari con un bel colpo di pistola. Insomma, la scintillante società del nuovo millennio che vorrebbe, a conti fatti, un trattamento da far west.
In scena, a scandire queste 'verità', è Valeria Raimondi. L'attrice, in abito paillettes con una pistola nella cintola, è quasi pietrificata e recita i propri versi di una ballata rap mono-tono, nella quale sono facilmente riconoscibili i temi odierni correlati all'idea di morte: accanimento terapeutico, eutanasia e suicidio assistito, ma anche solitudine e vecchiaia. Cornice è una società dei consumi raccontata con la dura schiettezza di una voce che sfida il pubblico, in un crescendo di parole che tengono gli spettatori inchiodati alle loro sedie fattesi improvvisamente scomode. La scenografia d'impatto aiuta nel proprio intento provocatorio la compagnia: sul palcoscenico viene issato un gigantesco crocifisso a mostrarci quel Cristo venuto al mondo per salvarci. Accanto a lui compariranno le teste mozzate di un asinello e un bue. La tematica è forte, ma lo schiaffeggiarla senza sosta al pubblico, senza pudori e intimità, rischia di estremizzare un argomento che non andrebbe degradato al mero ruolo provocatorio e meriterebbe un più delicato approfondimento. Sul finale compare in scena, in braccio alla propria madre, il figlio dell'attrice, un deus ex machina volto a darci speranza mentre in sottofondo risuonano assordanti le note dei Doors. Ma il pubblico è colpito e confuso, non basta l'innocenza di una nuova vita a cancellare quanto ha visto, e a risolvere una delle più spinose questioni del nostro tempo.

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