lunedì 6 febbraio 2012

Passerelle, ‘Shabbath’ si perde fra i colori dell’angoscia

di Valentina Grignoli, La Regione del 6 febbraio 2012

 

Un’anima, filo d’erba nella prateria. Io e te, giardiniere, siamo uguali. Vedo questi colori, li capisco, ma non mi parlano .
Voci off, di Antoinette Werner e di Marco Capodieci (Tasi), a volte in italiano, a volte in francese, ritmano, sottolineano e riempiono lo spazio. Sul palcoscenico, le due brave ballerine della compagnia Cie Interface di Sion, Stèphanie Boll e Gèraldine Lonfat, eseguono con forza espressiva controllata una danza umana in continua evoluzione. Gioco di luci e di ombre in movimento, aria tangibile e fumi pesanti, e sullo sfondo un muro disegnato: questa l’ermetica scenografia. Accompagna le due danzatrici, con la sua presenza statuaria, un tenore, Nicolas Gravier, che sbilancia gli equilibri, abbraccia e respinge, e muove con la propria potente voce l’aria.

Shabbath , in scena sabato al Teatro Foce in occasione della rassegna Passerelle, è uno spettacolo ‘ multidisciplinare di danza contemporanea che unisce tutte le dimensioni possibili del teatro, della musica, del canto e della danza dando una totale visione di bellezza e forza espressiva ’. Così il programma di sala, ma come, nella realtà? Potremmo rispondere Vedo questi colori, li capisco, ma non mi parlano. Lo spettacolo vuole infatti mettere in scena troppo, in troppi linguaggi, visivi, musicali, sensoriali e corporei; vuole scendere negli abissi dell’animo umano ripercorrendo al contempo un secolo di guerra.

C’è la grazia, c’è la forza, ma queste purtroppo svaniscono tra frasi dal senso sibillino. C’è la guerra, c’è il dolore, la morte e la memoria. Ma la bellezza, tranne quella della danza, non è apparsa. Ciò che abbiamo invece visto, sentito e provato, è stata una profonda angoscia (un intento catartico?) scaturita inevitabilmente dai toni cupi di luci e musica. La stessa angoscia dell’ Urlo di Edward Munch sul ponte di Nordstrand (ricordata dalla maschera presente in scena), o del grido « Quale orrore! Quale orrore! » di Kurz nel Cuore di Tenebra di Joseph Conrad.
Insomma, ci si guarda dentro, ci si guarda indietro. Due azioni complicate da compiere contemporaneamente. Anche se in un giorno di Shabbath , il riposo che induce alla riflessione per quanto fatto finora. Uno spettacolo, quello della compagnia Interface, che vuole mettere in scena una ricerca personale di sé e del senso di umanità. Ma che noi spettatori siamo costretti a vivere con profondo senso di torturato smarrimento, testimoni di un’analisi introspettiva. E vien da chiedersi: perché in questo crudo mondo, quando già la realtà non sempre si presenta sotto i toni più allegri – siamo già prigionieri di piombo allineati – l’arte non si fa veicolo di più poetica evasione?

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